Quando con Enzo, che scherzando ma non troppo desiderava individuare un’icona che rappresentasse il nostro stile familiare avevamo individuato i simboli di san Giorgio, di un’aquila e di un albero rigoglioso che raffigurasse la promessa di fecondità legata ad una vita di donazione, non sapevamo come avremmo poi messo insieme questi simboli.
Non c’è poi mai stato il tempo per farlo.
Mancato Enzo, e decisa con i familiari e gli amici più cari di costituire la fondazione, la Provvidenza ha voluto che la fondazione venisse costituita proprio il giorno di san Giorgio, il 23 aprile 2008, e che l’amica Daniela che ha disegnato il logo della Fondazione rappresentasse con un’aquila in volo ad ali spiegate e con un albero carico di frutti i due binomi, Fede e Ragione, Persona e Comunità, che costituiscono il sottotitolo della Fondazione.
Nei Principi Ispiratori dello Statuto leggiamo che la Fondazione “si ispira alla figura di Enzo Peserico della quale intende onorare la memoria, perpetuare il ricordo e proseguire l’azione, con esplicito richiamo al suo costante e totale riferimento al magistero della Chiesa Cattolica ed in particolare alla Dottrina sociale della Chiesa. In modo specifico la fondazione si ispira alle molte opere promosse e realizzate da Enzo Peserico in ambito culturale, educativo, spirituale e professionale, e si propone di garantirne la continuità, proseguendo quelle da lui già avviate e realizzandone di nuove alla luce dei principi, delle finalità e dei valori da lui difesi e professati”.
La sintesi di pensiero rappresentata dall’accostamento di questi due binomi, “Fede e Ragione, Persona e Comunità” sono farina del sacco di Massimo Introvigne, che per la prima volta in un mirabile articolo dal titolo “La memoria e la speranza” presentato nel penultimo incontro per famiglie organizzato dallo stesso Enzo a Capodanno 2007, le ha definite come le coordinate cartesiane sul cui equilibrio si è retto lo sviluppo della civiltà cattolica europea.
Fede e ragione, Fides et Ratio, “sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità”. Il binomio ha il significato di ripresentare una ragione capace di verità, di capire il senso delle cose, di dare delle risposte all’uomo, fornendo un’alternativa ad una visione della ragione soggettivista e relativista, che porta l’uomo alla disperazione dell’assenza di significato di sé e del mondo.
Persona e comunità: la persona non è un individuo, una monade che si relaziona agli altri solo se è di temperamento socievole. La relazionalità fa parte della dimensione ontologica dell’uomo. Se la Ragione è ciò che definisce l’essenza dell’uomo, capacità di avere presente la realtà, quindi di entrare in comunione con la realtà, allora vuol dire che la dimensione comunitaria essa stessa deriva da questa dimensione essenziale dell’uomo che è la Ragione. L’uomo è in relazione dall’inizio, non è un individuo, che sta in autonomia rispetto agli altri.
“La perfezione dell’uomo non sta nella sola conoscenza astratta della verità, ma consiste anche in un rapporto vivo di donazione e di fedeltà verso l’altro”. La ricerca dell’uomo tende verso una verità che sia in grado di spiegare il senso della vita. Tale verità viene raggiunta non solo per via razionale ma anche per via relazionale, grazie “all’abbandono fiducioso ad altre persone, che possono garantire la certezza e l’autenticità della verità stessa”ad esempio. La testimonianza dei martiri affascina e provoca fiducia, perché “dà l’evidenza di un amore che non ha bisogno di tante spiegazioni per essere convincente” (Fides et ratio, 32).
D’altro canto se Cristo ha lasciato una comunità e non un libro, e si rende incontrabile nella comunità della Chiesa tutt’oggi e sino alla fine dei tempi, allora vuol dire che la comunità è un valore irrinunciabile.
Cosa centrano dunque queste riflessioni con la Fondazione Enzo Peserico. E ancora: perché la Fondazione Enzo Peserico.
Posso dire, senza troppo imbarazzo, che Enzo aveva capito il significato della relazione tra fede e ragione non permettendo che rimanesse una relazione astratta valida solo sul piano intellettuale, e che se la ricerca della verità avviene nell’ambito di una comunità, e di una sana pluralità, potrà beneficiare della fecondità e dell’arricchimento che derivano dalla capacità di ascolto e di confronto, e di reciproco affidamento all’altro che questo genera.
Enzo ha vissuto con atteggiamento missionario - atteggiamento che presuppone che una verità esista, che questa possa essere conosciuta, e che quindi valga la pena di diffonderla – e con atteggiamento da apologeta, cioè convincendo e dimostrando non tanto che la Fede cristiana è vera, ma che è ragionevole.
Tale approccio missionario si è espresso in tutti gli ambiti, da quello associativo a quello lavorativo.
Questa è l’origine degli incontri per famiglie, degli incontri di capodanno, delle vacanze comunitarie, e da ultimo, della comunità di destino dei giovani, nei quali la preghiera, la ricerca e lo studio sulle questioni fondamentali dell’uomo, sono vissuti in un contesto comunitario in cui l’apertura all’altro fa parte di quella stessa ricerca, in un continuo veritatem facere in caritate (cfr. Ef 4,15).
Questa è l’origine, anche in ambito professionale, dei Forum Human Resources, nei quali l’approfondimento delle materie giuslavoristiche, fatto con metodo dialogico fra i vari partecipanti, era sempre indirizzato a trovare interpretazioni e proposte secondo retta ragione, alla luce dei principi della Dottrina Sociale della Chiesa.
Tutto ciò Enzo lo ha fatto donando ciò di cui era sempre più a corto, cioè il proprio tempo. “Avere tempo e donare tempo – è questo un modo molto concreto per imparare a donare se stessi, a perdersi per trovare se stessi” (B. XVI, Discorso alla curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 22.21.2006), e con una attenzione per ciascuno che colpiva. “La sua capacità di dare totale e reale attenzione all’interlocutore e di cercare di entrare in relazione profonda per trovare le vie sempre giuste per risolvere le varie questioni, ma non solo e sempre dal punto di vista legale”; “ha sempre e prima di tutto cercato di capire”: queste sono frasi ricorrenti nelle lettere di cordoglio per la sua morte ricevute da chi aveva avuto modo di frequentarlo in ambito professionale.
Fede e Ragione, Persona e Comunità sono quindi temi da capire e da vivere. C’è però un modo particolare in cui possono essere vissuti che è quello riassunto nel libro che tra poco sarà presentato, e che si conclude con queste parole:
“Il nostro mondo è tutto organizzato per dimostrare che la vita contemplativa, che l’itinerario nel castello interiore della propria anima e il progredire nella vita spirituale, è un’impresa impossibile. Ma proprio questa è la lotta che dobbiamo intraprendere, l’unica necessaria.
È esattamente questo che ci viene chiesto, in un mondo costruito per eliminare la possibilità stessa della trascendenza: desiderare la santità, desiderare per sé e per gli uomini tutti la pienezza del vero, del bene e del bello, perché «appunto questa è la lotta che dobbiamo condurre, davvero persuasi – in una questione così decisiva – che l’”impossibile” (o ciò che il mondo ritiene tale) è la sola cosa necessaria»; poiché, come scriveva l’Apostolo delle genti, «Tutto infatti è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3, 22-23).
Per il contemplativo in azione, occorre un grande desiderio a sostegno e come punto di arrivo dell’apostolato culturale: costruire una civiltà naturale e cristiana, la civiltà della verità e dell’amore.
Desiderio che non è fomentato dall’utopia, che non è stravolto dall’ideologia, è radicato nel cuore dell’uomo, è sviluppato dalla Grazia, ha solo bisogno del nostro cuore e delle nostre braccia per diventare realtà, per quanto possibile in «questa valle di lacrime”.
E a questo invito alla Speranza faccio seguire quello di Benedetto XVI a non considerarlo un fatto individuale. Ci dice il Papa in Spe salvi:
“La nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza per gli altri; solo così essa è veramente speranza anche per me. Da cristiani non dovremmo mai domandarci solamente: come posso salvare me stesso? Dovremmo domandarci anche: che cosa posso fare perché altri vengano salvati e sorga anche per altri la stella della speranza? Allora avrò fatto il massimo anche per la mia salvezza personale.”.
Allora la Fondazione vuole non solo fare memoria di ciò che è stato iniziato. Certo la memoria è la base per avere coscienza delle proprie radici, per trattenere la propria storia nell’essere.
Ma se ci si ferma al ricordo, si rischia di cadere nella malinconia, e, come dice Hannah Arendt proprio a proposito del ‘68 “il ricordo malinconico è lo strumento migliore per dimenticare del tutto il proprio destino”.
La Fondazione vuole invece dare concretezza a questi grandi valori, sì attraverso la raccolta degli scritti e relazioni di Enzo, la promozione di incontri, seminari e corsi.
Ma soprattutto nelle attività che farà vuole, proseguire questo esempio, perchè dalla concretezza di questa storia personale, anche se troppo breve, nasca una cultura e un’esperienza della speranza, nella corsa verso la “luce senza fine” di cui Enzo, negli ultimi tempi, direi profeticamente, amava tanto parlare.
Sabrina Pagani