Pubblichiamo una recensione del libro di Enzo a firma di Matteo Masetti. Fonte: Storiain.net.
Una circostanza drammatica è stata l’improvvisa scomparsa dell’autore di questo libro avvenuta il 1° gennaio 2008. Enzo Peserico, stimato professionista milanese nel campo della consulenza del lavoro e cattolico militante membro dell’Associazione culturale di Alleanza Cattolica è stato anche un attento studioso del fenomeno del Sessantotto e nel suo libro Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo e Rivoluzione traccia un profilo di quel periodo storico che prese due strade: quella che mirava a corrompere il cuore e la mente di una generazione di giovani mettendone in crisi l’identità alla ricerca dell’uomo nuovo e quella che invece sfociò nel terrorismo. Se però la strada della lotta armata fallì lasciando dietro di sé una lunga scia di morti, la rivoluzione culturale è quella che ha inciso di più poiché è riuscita a modificare il modo di vivere e di pensare della maggior parte delle persone che fino ad allora erano state legate alle tradizioni. Così, finita l’ubriacatura ideologica di quegli anni, nei quali il marxismo era visto come un’utopia che era ancora possibile realizzare nell’ottica di una società perfetta, il riflusso di quella stagione ha portato oggi a quella che l’allora cardinale Ratzinger ha definito in maniera lucida come una «dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
Per l’autore di questo libro è dunque importante identificare la radice di questo fenomeno che è sceso così in profondità nelle nostre società occidentali e quindi analizzare la situazione italiana: tutto ciò è il risultato di una riflessione durata più di vent’anni che risale alla sua tesi di laurea in Giurisprudenza conseguita presso l’Università Cattolica di Milano e dedicata proprio al Sessantotto. Ecco quanto Marco Invernizzi scrive nella prefazione del libro: «Enzo sapeva che quella Rivoluzione culturale aveva colpito soprattutto le famiglie e i giovani e così a giovani e famiglie dedicherà gli ultimi dieci anni della sua vita. Il suo impegno nasceva certamente dallo studio e dall’analisi, storica e culturale, ma anche dalla consapevolezza che la rivoluzione del Sessantotto si era radicata soprattutto nelle tendenze delle persone e dunque comportava la costituzione di ambienti, dove queste tendenze potessero essere rieducate, anche attraverso l’esempio».
Come accennato all’inizio, la drammatica circostanza della sua scomparsa all’inizio del 2008 è avvenuta proprio nella ricorrenza del quarantesimo anniversario del 1968: tra l’altro poco dopo aver consegnato il manoscritto del suo libro ad alcuni amici quasi a testamento spirituale dell’evento che lo avrebbe senz’altro visto protagonista di conferenze, dibattiti e approfondimenti su questo tema.
Analizzando ora le tesi contenute nel libro, l’autore traccia il profilo di quel periodo in una lettura contro-rivoluzionaria, frutto cioè di un processo di disgregazione durato secoli e scandito da diverse tappe storiche di cui il Sessantotto rappresenta la conclusione. Come nelle tre fasi precedenti rappresentate dalla Rivolta protestante, dalla Rivoluzione francese e da quella sovietica, anche quando quest’ultima tappa si manifesta essa si dissolve poiché il processo che ha portato a maturazione questo evento in realtà è già avvenuto e quindi l’esplosione del fenomeno non è altro che il suo stadio terminale. La chiave di lettura di questo itinerario storico denominato appunto Rivoluzione ha subito diverse trasformazioni nelle tendenze e nelle idee: le tendenze disordinate hanno cominciato a modificare le mentalità, i modi di essere e i costumi e queste hanno poi generato delle nuove idee che, non essendo più incanalate nell’alveo della tradizione, produrranno dei fatti che, più o meno violentemente, porteranno al cambiamento delle istituzioni, delle leggi e quindi dei costumi. E’ in questo modo che il processo di scristianizzazione è avanzato inesorabilmente allontanando l’uomo dalle sue relazioni immanenti e trascendenti e rendendolo così vulnerabile ai richiami delle ideologie del momento.
In quest’ottica il Sessantotto rappresenta, come in un romanzo di formazione, l’apice di questo itinerario e rimuove gli ultimi ostacoli rappresentati dal principio di autorità e dalla famiglia tradizionale con i suoi legami religiosi, in questo seguendo le idee elaborate da Wilhelm Reich (1897-1957), il quale aveva sostenuto l’assoluta libertà sessuale come strumento per combattere la morale tradizionale considerata repressiva. Inoltre se in passato quanto è stato descritto sopra era un aspetto che andava ad intaccare soprattutto le elites, questo passaggio storico porta ad una “socializzazione della corruzione”. E infatti in quegli anni nell’Occidente e in Italia si potranno cogliere i frutti amari di questa nuova situazione grazie alle “conquiste” sociali del divorzio e dell’aborto, ovvero alla distruzione di quegli elementari legami familiari e umani ritenuti inviolabili fino ad allora. Il Sessantotto contribuisce così in maniera determinante all’offuscamento del concetto cristiano di peccato ritenendolo un inutile retaggio del passato di cui doversi liberare per poter costruire l’uomo nuovo. Ma la rimozione del peccato individuale e la lotta alla morale tradizionale si trasforma in peccato a livello sociale, perché questa libertà così ossessivamente e ansiosamente ricercata porterà all’esplosione della pornografia, alla liberazione sessuale sotto la forma del nudismo, alla vita nelle comuni nella più completa promiscuità, all’ostentazione del fenomeno dell’omosessualità, alla rivendicazione dei diritti della donna sotto la forma del femminismo più estremo. Per non parlare poi del fenomeno della tossicodipendenza con le sue ricadute sociali in termini di morti e delinquenza. Infatti con il famoso slogan “Vietato vietare” veniva introdotto il concetto che ogni individuo doveva rispondere solo a sé stesso del proprio agire, con tutte le ovvie e disastrose conseguenze che un tale atteggiamento di esasperato individualismo porta a livello di relazioni con il prossimo. Oggi possiamo renderci perfettamente conto di come questo cattivo processo di diseducazione abbia reso il volto della nostra società estremamente egoista e narcisista, sempre alla ricerca del soddisfacimento dei propri bisogni e delle proprie voglie divenuti veri e propri diritti da salvaguardare.
Guardando alla situazione storica l’autore fa un’analisi dei movimenti millenaristici mettendoli bene in relazione con la Rivoluzione del Sessantotto. Se infatti questi fenomeni intendevano realizzare un mondo perfetto sulla terra, essi si sono rivelati l’esatto contrario di quello che volevano costruire. Riprendendo lo studio del russo I. Safarevic, Peserico descrive come a partire dal Medio Evo con la setta di Frà Dolcino, alla rivolta degli hussiti in Boemia nel Quattrocento fino all’esperimento degli anabattisti nella città di Muenster nel 1534-5, vengano messi in incubazione tutti i germi delle future rivoluzioni e con esse del terrorismo. Successivamente queste credenze millenariste a sfondo religioso si trasformeranno, seguendo un itinerario di progressiva secolarizzazione, in una ricerca dei fondamenti etici del vivere e dell’agire tenendo conto della sola ragione e delle capacità umane, grazie anche alle conquiste del progresso scientifico. L’Illuminismo, tappa di questo razionalismo esasperato, porrà quindi le basi per l’affermazione di una società completamente slegata dai suoi significati trascendenti, affermando con Rousseau la bontà dell’uomo libero di agire secondo natura e in questo senso negando il concetto di peccato originale che pone l’uomo in una condizione di ascesi rispetto a Dio: privato così di qualsiasi limite, l’uomo potrà agire per il proprio bene o per quello della comunità che lo circonda rispondendo solo a sé stesso. Ma questa pretesa volontà di creare una nuova antropologia, in realtà porterà alla nascita dell’uomo ideologico che, rispetto al precedente messianismo religioso, sarà ora guidato da un nuovo credo di tipo politico e sociale nella forma di una volontà generale, la quale «vuole solo il bene e se qualcuno non volesse obbedirle, occorrerà costringerlo a essere libero»: è evidente vedere in questo l’espressione più autentica della Rivoluzione Francese con il periodo del Terrore e successivamente dei GuLag e dei lager del Novecento. Infatti lo stato totalitario dovrà distruggere l’ordine esistente utilizzando sistematicamente il terrore contro il nemico e l’ideologia rivoluzionaria si nutrirà pertanto di nuovi dogmi o miti per giustificare la propria condotta morale cosicché l’ascesi personale verrà sostituita dalla politica diventando “mistica collettiva”. Che poi questi nuovi ideali si chiamino lotta di classe per il comunismo o superiorità della razza per il nazionalsocialismo poco importa: sono due facce della stessa medaglia di una ideologia gnostica che vede la possibilità di salvare il mondo «perché il male non è nell’uomo ma è prodotto dalla struttura sociale intrinsecamente deficiente». E’ quindi necessario trasformare l’uomo e il mondo e la moralità di questa operazione guarderà solo al raggiungimento di questo fine senza preoccuparsi dei mezzi che ciò comporta.
Per l’autore quindi le analogie sono ben evidenti anche nel Sessantotto che «segna l’inserirsi dell’ideologia - intesa come sistema di miti che promette il raggiungimento della felicità attraverso la politica - in un humus socio-politico carico insieme dei valori dominanti e dell’attesa di un mondo nuovo». Sotto l’influenza di pensatori quali Marx, Horkheimer, Marcuse, vengono infatti elaborati dei nuovi miti necessari per rendere credibile l’utopia prossima a realizzarsi: la Cina di Mao, la guerra in Vietnam, la guerriglia di Che Guevara in Sud America, ecc. L’Italia si rivelerà terreno particolarmente favorevole alla radicalizzazione del fenomeno terroristico, grazie anche all’eredità della resistenza partigiana e alla presenza del partito comunista più forte dell’Occidente. Esso infatti «era disposto ad appoggiare strumentalmente il movimento di rivolta degli studenti e degli operai, considerato funzionale alla conquista del potere statuale». Però questo tentativo di egemonizzare i rivoluzionari cresciuti nello stesso brodo ideologico non ebbe successo poiché il PCI era comunque considerato cardine del sistema. Va comunque ricordato come l’Italia di quegli anni stesse vivendo un travaglio epocale dovuto a cambiamenti sociali quali la massiccia urbanizzazione delle città del Nord a seguito dell’immigrazione da Sud, così come allo smarrimento di valori tradizionali entrati in crisi di fronte ad un progressivo benessere: tutto ciò era stato ben evidenziato dalla Chiesa in una lettera dell’episcopato apparsa nel 1960 nella quale veniva denunciata con preoccupazione questa latente opera di secolarizzazione della società. Allo stesso tempo la linea del partito egemone di ispirazione cattolica e cioè la Democrazia Cristiana, lungi dall’essere una vera alternativa al socialcomunismo «si limitava a raccogliere consensi elettorali anticomunisti per continuare a governare attraverso cedimenti continui», senza tenere in alcun conto delle linee del Magistero.
Alla luce di quanto esposto è evidente che le premesse di una stagione di contestazione e rivolta erano in incubazione e che il 1968 portò alla luce segnando l’inizio di un periodo che porterà negli anni successivi anche alla lotta armata con la creazione di diversi gruppi e movimenti che si muoveranno all’interno della cosiddetta “sinistra extra-parlamentare”. La preparazione e l’avvio della lotta al sistema cominciò con l’occupazione di alcune università: in particolare a Trento, presso la facoltà di sociologia nacque quella che sarà la “fucina della rivoluzione” e questo grazie al contributo di studenti di area cattolica, convinti che la sintesi tra cristianesimo e rivoluzione fosse che il Regno di Dio doveva corrispondere al regno dell’uguaglianza teorizzato dal marxismo. Tra questi studenti di formazione cattolica il più importante fu Renato Curcio, uno dei fondatori delle Brigate Rosse. Questa “meglio gioventù” - o gioventù bruciata - aprì lo scenario del terrorismo di sinistra in Italia ed è in questo modo che cominciarono a muoversi gruppi e sigle nel contesto dello stesso filone marxista-leninista. Comunque le BR costituiranno il “nucleo d’acciaio” di rivoluzionari che spenderanno la propria vita per il successo della Rivoluzione in perfetta sintonia con il Che fare? di Lenin, «in cui s’ipotizza [...] un gruppo di rivoluzionari di professione, che consacrano la loro vita alla rivoluzione e che operano interpretando le istanze del proletariato affinché esso prenda coscienza». Peserico comunque nota molto acutamente che il fenomeno del terrorismo si manifesta anche e soprattutto come «Rivoluzione gnostica oppure, con termine sostanzialmente equivalente, messianesimo rivoluzionario». Infatti «identificando etica e politica, il rivoluzionario di professione si assume il compito - che considera un obbligo - di far trionfare il fine con qualsiasi mezzo».
Accanto a questa espressione del terrorismo di sinistra che fu largamente maggioritario nel nostro paese, l’autore traccia anche un profilo dell’altro Sessantotto, cioè della contestazione vissuta da parte della destra, Ecco cosa scrive: «La totale insofferenza verso un’elaborazione intellettuale capace d’individuare la crisi della modernità, d’indicarne le cause e di porre strategie per l’azione politica in modalità diverse dal culto dello scontro fisico e dal calcolo del vantaggio politico immediato rendeva intrinsecamente debole la risposta di “destra” ai desideri e alle attese del mondo giovanile in rivolta». La lotta al sistema democratico rappresentato dalla Democrazia Cristiana e dagli altri partiti dell’arco costituzionale ripiegati sul versante dell’apertura a sinistra era quindi destinato ad una sconfitta perché del tutto incapace «di proporsi come scuola di vita e di nuova civiltà». Rispetto alla Rivoluzione culturale egemone, i caratteri della contestazione di destra erano profondamente radicati al fascismo e si esprimevano in un acceso anti-comunismo accettando la violenza come strumento di lotta all’interno di una generazione giovanile. Suddivisa in diversi gruppi, la destra terrorista compì il suo atto più clamoroso con l’uccisione del magistrato Vittorio Occorsio nel luglio del 1976 e questo fu l’unico episodio di rilievo, poiché successivamente a quella data una serie di arresti pose fine a questo stadio del terrorismo. Un’ultima fase della lotta armata dell’estremismo di destra furono i NAR - Nuclei Armati Rivoluzionari - composti da elementi molto giovani che, privi ormai di riferimenti ideali e spinti da un esasperato nichilismo, combatterono contro il sistema ma finirono ben presto sconfitti non prima di aver lasciato il loro tragico bilancio di sangue nel paese.
L’autore dedica poi un capitolo del libro riferito alla situazione della Chiesa di quegli anni. A questo proposito è importante precisare come dopo la chiusura del Concilio Vaticano II (1962-1965) la Chiesa appariva in un ruolo marginale nella società ma in preda ad un ingiustificato ottimismo: «quell’ottimismo del tutto umano che discende dalla mancanza di coscienza che il male c’è, ed è all’opera tragicamente nel mondo», cosa che Papa Paolo VI - apertamente criticato per la sua posizione sulla procreazione responsabile nell’enciclica Humanae Vitae pubblicata il 29 luglio 1968 - definirà qualche anno più tardi come un processo di “autodemolizione” dall’interno della Chiesa stessa. In questo contesto matura anche la rinuncia del movimento cattolico di prendere l’iniziativa di fronte all’aggressione culturale della contestazione, appiattendosi così sulla dottrina marxista con «un atteggiamento di palese inferiorità che ancora oggi produce i suoi effetti desolanti». In definitiva una grande occasione mancata per ribadire e sostenere - in un contesto di modernità - l’autenticità e la verità del messaggio cristiano.
«Sono i più coerenti a lasciare la vita, i più deboli a morire di droga, sono i più “avanzati” a sparare, i più scaltri a riciclarsi nelle stanze del potere». Nell’ultimo capitolo l’autore sottolinea poi come lo slancio utopico di quegli anni sia del tutto svanito e come i rivoluzionari di professione siano diventati i «cani da guardia della tecnocrazia». Inoltre, crollati in buona parte i miti del marxismo dopo il fallimento del “socialismo reale”, la contestazione diventò ben presto disperazione per una generazione ripiegata su sé stessa alla ricerca di paradisi artificiali come la droga, che da allora cominciò a rappresentare una gravissima piaga sociale che dura tutt’oggi.
Infine Peserico riprende e ribalta lo slogan del Sessantotto “Siate realisti, esigete l’impossibile” per esprimere il desiderio di vivere una vita all’insegna del buono, del bello e del vero in un’ottica di vera ascesi cristiana poiché, aggiungo, “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37).
BIBLIOGRAFIA
Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo e Rivoluzione, di E. Peserico - Sugarco, Milano 2008.
Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, di P. Correa de Oliveira - Cristianità, 1977.
La “lezione italiana”. Premesse, manovre e riflessi della politica di “compromesso storico” sulla soglia dell’Italia rossa, di G. Cantoni - Cristianità, 1980.
Il socialismo come fenomeno storico mondiale, di I. Safarevic - Effedieffe, 1999.