A poche settimane dalla pubblicazione della “Caritas in veritate” il giurista cattolico tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde, molto stimato dal papa, vuole che sia la Chiesa a scrivere il definitivo “manifesto” contro il capitalismo. Che va rovesciato dalle fondamenta, in quanto disumano.
Dell’enciclica economico-sociale che è da tempo in gestazione si conoscono le prime parole latine: “Caritas in veritate”. Si pronostica che sarà firmata dal papa il 29 giugno e diffusa all’inizio dell’estate. Si sa che è passata attraverso vari rifacimenti, che fino all’ultimo hanno lasciato Benedetto XVI insoddisfatto.
A differenza dell’enciclica sulla speranza, scritta personalmente dal papa dalla prima riga all’ultima, e a differenza dell’enciclica sulla carità, la cui prima metà è anch’essa tutta di scrittura papale, alla “Caritas in veritate” hanno lavorato molte menti e molte mani. Ma Benedetto XVI vi lascerà in ogni caso la sua impronta, già visibile nelle parole del titolo che coniugano indissolubilmente carità e verità.
Su quale sarà questa impronta la curiosità è forte. Perché poco si conosce del pensiero di Joseph Ratzinger in materia d’economia. In tutta la sua sterminata produzione di saggi, solo uno risulta dedicato espressamente a questo tema. È una conferenza in lingua inglese del 1985 dal titolo: “Market economy and ethics”.
In quella sua conferenza, Ratzinger sosteneva che un’economia che si priva di ogni fondamento etico e religioso è destinata al collasso.
Oggi che un collasso effettivamente c’è stato, si attendono quindi da Benedetto XVI analisi e proposte più circostanziate.
Pochi mesi fa, rispondendo alla domanda di un sacerdote di Roma, il papa si espresse così:
“È dovere della Chiesa denunciare gli errori fondamentali che si sono oggi mostrati nel crollo delle grandi banche americane. L’avarizia umana è idolatria che va contro il vero Dio ed è falsificazione dell’immagine di Dio con un altro Dio, Mammona. Dobbiamo denunciare con coraggio ma anche con concretezza, perché i grandi moralismi non aiutano se non sono sostenuti dalla conoscenza della realtà, che aiuta a capire che cosa si può in concreto fare. Da sempre la Chiesa non solo denuncia i mali, ma mostra le strade che portano alla giustizia, alla carità, alla conversione dei cuori. Anche nell’economia la giustizia si costruisce solo se ci sono i giusti. E costoro si formano con la conversione dei cuori”.
Era il 26 febbraio 2009 e l’enciclica era in fase di stesura. Quelle parole del papa ebbero l’effetto di accrescere la curiosità.
Ma la curiosità si è fatta ancor più pressante da quando è uscito, in maggio, l’articolo bomba di uno studioso tedesco che Ratzinger ha sempre letto con interesse e con stima.
Lo studioso è Ernst-Wolfgang Böckenförde, coetaneo del papa, cattolico, filosofo, insigne scienziato della politica. Fece epoca nel 1967 un suo saggio nel quale egli sosteneva ciò che fu poi definito “il paradosso di Böckenförde”: la tesi secondo cui “lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire”.
Da questa tesi presero spunto il 19 gennaio 2004 l’allora cardinale Ratzinger e il filosofo francofortese Jürgen Habermas per un dibattito a Monaco di Baviera, sul tema: “Etica, religione e Stato liberale”.
Ebbene, in un articolo per la “Süddeutsche Zeitung” pubblicato in maggio anche in Italia dalla rivista dei religiosi dehoniani di Bologna “Il Regno” – e riprodotto integralmente più sotto – Böckenförde ha applicato il suo “paradosso” anche al capitalismo, ma in termini molto più devastanti.
A suo giudizio, i principi su cui si fonda il sistema economico capitalista non reggono più. Il suo attuale crollo è definitivo e ha messo allo scoperto i fondamenti disumani di tale sistema. L’economia esige quindi d’essere ricostruita da capo, su principi non più di egoismo ma di solidarietà. Tocca agli Stati, in primis all’Europa, prendere il controllo dell’economia. E tocca alla Chiesa, con la sua dottrina sociale, raccogliere il testimone da Marx, che aveva visto giusto.
Contro il “manifesto” anticapitalista di Böckenförde hanno reagito, in Italia, gli economisti cattolici più accreditati presso la Chiesa, intervistati da “il Foglio”: Luigi Campiglio, prorettore dell’Università Cattolica di Milano; Dario Antiseri, filosofo e cultore della scuola economica liberale di Vienna; Flavio Felice, docente alla Pontificia Università Lateranense e presidente del Centro studi Tocqueville-Acton; Ettore Gotti Tedeschi, banchiere e commentatore economico per “L’Osservatore Romano”.
In particolare, Antiseri obietta che “rivalutare oggi Marx è come continuare ad essere tolemaici dopo Copernico e Newton”; che “l’individualismo è l’opposto del collettivismo, non del solidarismo, e questo è possibile solo se si creano ricchezze da condividere, come avviene nelle società capitalistiche”; e infine che da Benedetto XVI non si può aspettare che si discosti dalla “Centesimus annus” di Giovanni Paolo II e dalla “Rerum novarum” di Leone XII con la sua “difesa lucida e appassionata della proprietà privata”.
Flavio Felice contesta in Böckenförde la visione irreale di una “economia angelica” alternativa a un capitalismo identificato con la pura bramosia del guadagno. E a proposito del controllo salvifico dello Stato sull’economia fa notare che l’enciclica di Giovanni Paolo II “Centesimus annus”, al paragrafo 25, mette in guardia proprio da questa utopia: “Quando gli uomini ritengono di possedere il segreto di un’organizzazione sociale perfetta che renda impossibile il male, ritengono anche di poter usare tutti i mezzi, anche la violenza o la menzogna, per realizzarla. La politica diventa allora una ‘religione secolare’, che si illude di costruire il paradiso in questo mondo”.
Ettore Gotti Tedeschi osserva che Böckenförde si scaglia contro un capitalismo di matrice protestante in cui dominano l’egoismo e l’incapacità dell’uomo di fare il bene. Ma non si avvede che c’è un capitalismo che concorda con la dottrina cattolica, del quale i papi da Leone XIII a Giovanni Paolo II hanno denunciato gli errori ma apprezzato la validità di fondo, legata alla proprietà privata e alla libertà di investire e di commerciare.
In un articolo su “Il Sole 24 Ore” – il quotidiano economico più diffuso d’Europa – Gotti Tedeschi ha sostenuto che l’attuale dissesto mondiale non nasce dagli eccessi di avidità o dalla mancanza di regole. Questi hanno aggravato la crisi, ma non l’hanno causata. La vera causa è stata la riduzione delle nascite, e quindi di quel capitale umano che solo poteva assicurare la necessaria crescita di produzione della ricchezza.
L’attacco frontale portato da Böckenförde al capitalismo dovrà comunque misurarsi con la risposta che la “Centesimus annus”, al paragrafo 42, dà alla domanda se il capitalismo sia un sistema che corrisponde al “vero progresso economico e civile”.
La risposta dell’enciclica è la seguente:
“Se con ‘capitalismo’ si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di economia d’impresa, o di economia di mercato, o semplicemente di economia libera”.
Nel suo articolo, lo studioso tedesco chiede invece alla dottrina sociale della Chiesa di risvegliarsi dal suo “sonno di bella addormentata” e applicarsi a una “radicale contestazione” del capitalismo, resa obbligata dal suo attuale “evidente crollo”.
Dopo la pubblicazione della “Caritas in veritate” sarà quindi interessante anche come Böckenförde la commenterà.
Sandro Magister