Non è facile ammetterlo, ma ciò che sta cambiando il mondo deriva dal differente tasso di natalità e dalla densità della popolazione nelle diverse aree geopolitiche del pianeta. Per questo le prospettive del nuovo ordine mondiale si fondano essenzialmente su due direttrici di cambiamento. Da una parte verrà attuata la strategia cinese del going global, cioè la vera globalizzazione. Dall’altra si concretizzerà, proprio grazie a questa strategia, la crescita economica del resto del mondo - quello oggi più povero - che prenderà forma in modi non voluti né realizzati dagli occidentali.
Da queste previsioni scaturiscono almeno due considerazioni inerenti alla questione demografica, della quale non è stata ancora compresa a pieno l’importanza. La prima è che il benessere esteso all’intera popolazione del pianeta è fattore di equilibrio per tutti. Se si fosse infatti pensato, con meno egoismo, ai Paesi più poveri, oggi si starebbe tutti meglio. E non si tratta solo di un problema di coscienza. Ci sarebbero più ricchezza, cicli economici più equilibrati, maggiore integrazione nella soluzione della crisi, meno sfruttamenti. Si potrebbe essere ancora in tempo ad avviare questo processo virtuoso, e in questo senso alcuni progetti sono stati già intrapresi, con modelli diversi, da vari Paesi.
La seconda considerazione è che il tema della crescita della popolazione tornerà presto a essere valutato con attenzione e, soprattutto, con preoccupazione, visto che i nuovi equilibri demografici creano nuovi poteri geopolitici. La demografia sarà considerata un fattore chiave nella crescita economica e negli equilibri geopolitici, semplicemente perché fra venti anni - se le attuali tendenze saranno confermate - quasi la metà del mondo sarà asiatica e un altro venti per cento sarà sotto la sua influenza.
Ecco così spiegati i due fenomeni che potranno cambiare il mondo. Il processo di globalizzazione opportunisticamente esteso, grazie alla delocalizzazione produttiva, in Paesi emergenti come Cina e India ha creato benessere in loco. Ma tale processo ha ignorato altri due miliardi di persone in Africa e America Latina, in Paesi meno attraenti per gli interessi economici occidentali. Questi Paesi, che hanno preoccupato l’occidente solo per il loro alto tasso di natalità, sono oggi oggetto di attenzione da parte delle nuove potenze asiatiche, che li stanno occupando economicamente nella prospettiva dello sfruttamento delle loro materie prime e di una mano d’opera a basso costo.
Proprio la Cina è diventata in questi anni la quarta potenza economica mondiale, che cresce ancora nonostante la crisi, grazie a un aspetto che gli occidentali, soprattutto gli europei, hanno del tutto sottovalutato: quello demografico. Questo grande Paese dispone non solo di popolazione, ma anche di tecnologie, capacità produttiva, capitali, e presto diverrà la prima potenza economica del pianeta. Grazie alla sua popolazione, la Cina sarà dominante negli ambiti industriale e finanziario, nonché nella potenzialità di influenza. E non con obiettivi ideologici, come poteva avvenire negli anni Settanta, ma grazie a un naturale processo economico che finirà per sostituire l’occidente anche nella capacità egemonica. La crescita cinese è spiegata proprio dalla non crescita occidentale.
La Cina sta cominciando a conquistare economicamente l’area del Mediterraneo, non solo per commercializzare i propri prodotti a basso costo, come è avvenuto finora, ma anche per tentare di sostituire l’imprenditorialità europea producendo nel vecchio continente; in pratica, prepara una delocalizzazione inversa alla prima, esportando il proprio surplus demografico e al tempo stesso approvvigionandosi di capacità tecnologiche in Europa, di petrolio in Medio Oriente e di materie prime in Africa. La Cina potrebbe anche cercare di trasformare il Mediterraneo in un’area di integrazione economica europea, araba e africana, riuscendo a realizzare nuovi equilibri. Ed è possibile che abbia successo, dove gli europei hanno fallito. Accelerando anche lo sviluppo dell’Africa.
Ettore Gotti Tedeschi
Fonte: L’Osservatore Romano, 6 giugno 2009