Nel valutare la ricchezza, il benessere e le prospettive future di una nazione si è soliti considerare quasi esclusivamente i fattori economici. E questo perché il denaro è diventato, nel sentire comune, il generatore simbolico di tutti i valori, per cui percepiamo immediatamente che cosa è “utile”, ma nulla sappiamo di che cosa è “vero”, che cosa è “giusto”, che cosa è “buono”, che cosa è “bello”, che cosa è “solidale”, che cosa è “generosamente gratuito”. Ma l’ economia non sta in piedi senza il sostegno di questi altri valori, senza i quali gli uomini perdono la loro dignità per venire inesorabilmente ridotti, quando sono utili, quando servono, al rango di risorse e, al pari delle materie prime, denominati non a caso: “risorse umane”. Una volta che i valori economici condizionano tutti gli altri valori (per cui, ad esempio, anche l’ arte diventa arte solo ed esclusivamente quando entra nel mercato), l’economia, nel suo sguardo sovrano e onnicomprensivo, rischia di non vedere e quindi di non prendere in considerazione la “biologia”. E cioè quel fattore in grado di mettere in crisi tutte le valutazioni economiche, i calcoli predittivi, le prospettive future. Qui si misura il declino di una nazione che, prima di essere “economico”, è “biologico”, con una generazione di anziani sempre più anziani e quindi dipendenti, e una generazione di giovani economicamente non autonomi e quindi a loro volta dipendenti. La conseguenza è che la famiglia di oggi deve provvedere, oltre a se stessa, ad altre due generazioni: quella che viene prima di lei e dopo di lei. La situazione, come si vede, è abbastanza drammatica. E non pare sia al primo posto tra i pensieri dei nostri politici. Di fatto, rispetto agli anni cinquanta e sessanta, quando la nostra popolazione era fatta sostanzialmente di padri e figli con pochi nonni in circolazione che difficilmente raggiungevano un’ età particolarmente avanzata, oggi, grazie alla medicina e al miglioramento delle condizioni di vita, ci sono non due, ma tre generazioni: i nonni: 70enni, 80enni, e non di rado 90enni che hanno bisogno di assistenza, i padri 40enni 50enni che costituiscono la generazione produttiva in grado di sostenersi economicamente, e infine la terza generazione, ossia i figli dei padri e i nipoti dei nonni, che sono poi i giovani del nostro tempo, che tali vengono considerati anche a trent’ anni dal mondo della ricerca, delle amministrazioni, del lavoro e del mercato. Questi giovani nessuno li vede, nessuno li chiama in causa, al massimo vengono parcheggiati all’ università, negli stage, nel precariato e, per dirla tutta, nell’ insignificanza sociale. Al pari dei vecchi, anche i giovani devono essere mantenuti dai padri che per la prima volta nella storia si trovano ad essere i soggetti economici non di due, ma di tre generazioni. E tutto ciò con l’ ulteriore aggravio dovuto al fatto la generazione dei nonni, vive più a lungo di quanto non avvenisse nel passato,e la generazione dei giovani si inserisce nel mondo del lavoro molto più tardi di quanto un tempo non avvenisse. A queste due aggravanti c’ è da aggiungere che, per quanto riguarda l’ assistenza agli anziani, è venuta meno quella solidarietà e quel mutuo soccorso che caratterizzava le famiglie di un tempo, che vivevano in stretto contatto tra loro prestandosi un reciproco aiuto. Oggi ogni famiglia è “appartata” nel proprio “appartamento”, in una sorta di isolamento, dove non si conosce neppure il proprio vicino di casa. E il collasso della solidarietà e del reciproco aiuto finisce col tradursi in un costo economico che la famiglia è costretta a sostenere da sola. Per quanto invece riguardai figli,è noto a tutti che la famiglia è l’ unica forma di sussistenza e di assistenza per i giovani precari o senza lavoro, costretti ad allungare la loro permanenza nella casa dei genitori, perché nell’ impossibilità di abitarne una propria. La loro mancanza di autonomia economica, che oggi è strutturale e non dipende sempre dalla loro buona o cattiva volontà, erode la ricchezza, grande o piccola che sia, accumulata dai genitori, determinando in questo modo una sorta di impoverimento progressivo della nazione. Non c’ è infatti giovane che, senza l’ aiuto della famiglia d’ origine, oggi possa comprarsi la casa, o prescindere dal contributo che i genitori mensilmente erogano ai figli che si sposano e poi limitano al massimo le nascite per le difficoltà economiche. L’ indebolimento economico della famiglia e della sua appartenenza a una comunità, ha creato un vuoto culturale che è stato riempito dal mercato, il quale offre in vendita sotto forma di servizi a pagamento a chi se lo può permettere, badanti per la cura degli anziani, baby-sitter per la cura dei figli, colf per la cura della casa. E qui l’ elenco potrebbe proseguire nella direzione che ci porta, come osserva Arlie Russel Hochschild, sociologia all’ Università di Berkeley in California, alla “commercializzazione della nostra vita intima”, dove la “cura”, come ci ricorda Heidegger, non è più nel “prendersi cura” di qualcuno, ma nei casi più fortunati, nel semplice “pro-curare” qualcosa a qualcuno. E di questo impoverimento emotivo e affettivo c’ è già chi sta pagando il conto?
UMBERTO GALIMBERTI
Repubblica - 27 gennaio 2010