Anche la Caritas in veritate (CV), come tutte le encicliche sociali, costituisce un approfondimento delle verità già insegnate dal Magistero precedente per illuminare i problemi nuovi che stanno davanti all’umanità. Con il presente intervento, vorrei soffermarmi a segnalare le principali di queste novità o, se preferiamo, di questi approfondimenti.
Prima di sottolineare singole tematiche, vorrei indicare il punto di vista sintetico assunto dall’enciclica e che esprimerei con la seguente frase: il ricevere precede il fare. Su questo la Caritas in veritate propone una vera e propria “conversione” ad una nuova sapienza sociale. Conversione da una visione che parte dagli uomini stessi ritenendoli unici e originari costruttori della società e della grammatica che regola le relazioni tra i cittadini, ad una visione che invece si pone in ascolto di un senso che ci viene incontro, espressione di un progetto sull’umanità che non disponiamo noi. L’uomo moderno fatica a leggere nelle cose e in se stesso significati a lui indisponibili, a sentirsi quindi interpellato da una parola che suscita un impegno e una responsabilità non arbitrari. La ragione positivista trasforma tutto in un semplice fatto, che non rivela che se stesso. Ogni azione si riduce a produzione. Bisogna invece convertirsi a vedere l’economia e il lavoro, la famiglia e la comunità, la legge naturale posta in noi ed il creato posto davanti a noi e per noi, come una chiamata - la parola “vocazione” ricorre spesso nell’enciclica - ad un assunzione solidale di responsabilità per il bene comune. Se i beni sono solo beni, se l’economia è solo economia, se stare insieme significa solo essere “vicini”, se il lavoro è solo produzione e il progresso solo crescita … se niente “chiama” tutto ciò ad essere di più e se tutto ciò non chiama noi ad essere di più, le relazioni sociali implodono su se stesse. Se tutto è dovuto al caso o alla necessità l’uomo rimane sordo, niente nella sua vita gli parla o gli si rivela. Ma allora anche la società sarà solo una somma di individui, non una vera comunità. I motivi per stare vicini li possiamo produrre noi, ma i motivi per essere fratelli non li possiamo produrre noi.
Per questo la Caritas in veritate ritiene che la verità e l’amore abbiano una forza sociale fondamentale proprio perché non possiamo darceli da soli. Nel paragrafo 34 della Caritas in veritate il Santo Padre Benedetto XVI spiega molto bene che la verità e l’amore ci vengono incontro e fanno sì che le cose e gli altri uomini ci svelino un loro significato che non abbiamo prodotto noi e, così facendo, ci indichino un quadro di doveri entro i quali inserire i diritti. Amore e verità non si possono costruire, pianificare, pretendere: sono sempre un dono ricevuto e attestano una eccedenza dell’essere rispetto alle nostre pretese. Amore e verità motivano le nostre attese e le nostre speranze e disciplinano i nostri bisogni.
La società ha bisogno di elementi ricevuti e non prodotti da noi, ha bisogno di essere con-vocata e non prodotta con un contratto. La società ha bisogno di verità e di amore. Il cristianesimo è la religione della Verità e dell’Amore. E’ la religione della verità nella carità e della carità nella verità. Cristo è la Sapienza creatrice ed è l’Amore redentore. Il più grande aiuto che la Chiesa può dare allo sviluppo è l’annuncio di Cristo.
Da ciò derivano le importanti precisazioni della Caritas in veritate sulla natura della Dottrina sociale della Chiesa, dottrina definita nell’enciclica come “caritas in veritate in re sociali: annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società” (n. 5) La prima riguarda la sua appartenenza alla “Tradizione” viva della Chiesa, aspetto già enunciato in precedenza, ma qui molto approfondito. La seconda è che il punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa non è la realtà sociale sociologicamente intesa, ma la fede apostolica. Queste importanti precisazioni di Benedetto XVI provengono dalla considerazione della importanza fondativa della Verità e dell’Amore per l’organizzazione sociale. Il Cristianesimo ha un proprio diritto di cittadinanza nell’ambito pubblico in quanto svela un progetto di verità e amore sul creato e sulla società, li libera dalla schiavitù dei propri limiti e dalle catene dell’autosufficienza. Così facendo, però, il cristianesimo non si impone dall’esterno, ma risponde ad una attesa della realtà stessa. La fede risponde ad un bisogno della stessa ragione, di cui tonifica le forze nel mentre le indica le proprie verità. Tutta l’enciclica è scritta all’insegna del concetto di “purificazione”: Amore e Verità purificano l’economia e la politica, non negandole nella loro autonoma consistenza, ma aprendole alla loro vera e completa vocazione. In questo modo il cristianesimo dà all’economia e alla politica ciò di cui hanno bisogno, ma che da sole non possono darsi. La Dottrina sociale della Chiesa non potrebbe fare questo se assumesse il punto di vista sociologico; può farlo se assume il punto di vista della fede apostolica e annuncia il Dio “dal volto umano”. Corollario immediato, e di non poco conto, di questa precisazione, è che non si devono proiettare sullo sviluppo storico della Dottrina sociale della Chiesa suddivisioni astratte e a carattere ideologico e che tra la fase preconciliare della Dottrina sociale della Chiesa e quella postconciliare non c’è nessuna frattura né tantomeno contrapposizione. Si tratta di precisazioni dalla grande forza orientativa sia per la teoria che per la pratica, in coerenza con la corretta ermeneutica del Concilio Vaticano II già insegnata da Benedetto XVI.
L’idea di fondo che il ricevere precede il fare spiega un’altra novità di grande portata della Caritas in veritate. I due fondamentali diritti alla vita e alla libertà religiosa trovano per la prima volta una esplicita e corposa collocazione in una enciclica sociale. Non che nelle precedenti encicliche fossero stati trascurati, ma certamente qui sono organicamente collegati con il tema dello sviluppo e la Caritas in veritate ne mette in evidenza le ricadute negative anche di ordine economico e politico sullo sviluppo quando non venissero rispettati. Nella Caritas in veritate la cosiddetta “questione antropologica” diventa a pieno titolo “questione sociale”. La procreazione e la sessualità, l’aborto e l’eutanasia, le manipolazioni dell’identità umana e la selezione eugenetica sono valutati come problemi sociali di primaria importanza che, se gestiti secondo una logica di pura produzione, deturpano la sensibilità sociale, minano il senso della legge, corrodono la famiglia e rendono difficile l’accoglienza del debole. Queste indicazioni della Caritas in veritate non hanno solo valore esortativo, ma invitano ad un nuovo pensiero e ad una nuova prassi per lo sviluppo che tengano conto delle sistematiche interconnessioni tra i temi antropologici legati alla vita e alla dignità umana e quelli economici, sociali e culturali relativi allo sviluppo. Non sarà più possibile, per esempio, impostare programmi di sviluppo solo di tipo economico-produttivo che non tengano sistematicamente conto anche della dignità della donna, della procreazione, della famiglia e dei diritti del concepito.
Ci sono nella Caritas in veritate due altre tematiche nuove. La prima è quella dell’ambiente, argomento richiamato anche dalle encicliche sociali di Giovanni Paolo II. Anche qui la Caritas in veritate propone una impostazione in termini di precedenza del ricevere sul fare: da una natura come deposito di risorse materiali alla natura vista come parola creata. Non semplici cose, ma l’affidamento all’uomo di un compito per il bene di tutti. I due diritti alla vita e alla libertà religiosa, già visti prima, sono strettamente collegati dalla Caritas in veritate con l’ecologia ambientale. Questa, infatti, deve liberarsi da alcune ipoteche ideologiche che consistono nel trascurare la superiore dignità della persona umana e nel considerare la natura solo materialisticamente prodotta dal caso o dalla necessità. Tentazioni ideologiche oggi presenti in molte versioni dell’ecologismo. L’impegno per l’ambiente non sarà pienamente fruttuoso se non verrà sistematicamente associato al diritto alla vita della persona umana, primo elemento di una ecologia umana che faccia da cornice di senso per una ecologia ambientale.
L’altro tema nuovo dell’enciclica è l’ampia trattazione del problema della tecnica svolta nel capitolo VI. Anche qui ci troviamo di fronte ad una novità assoluta: è la prima volta che un’enciclica affronta in modo così organico questo tema, dopo gli approfondimenti antropologici sulla tecnica della Laborem exercens di Giovanni Paolo II. L’idea di fondo è che la crisi delle grandi ideologie politiche abbia lasciato il campo alla nuova ideologia della tecnica o, possiamo dire, alla “tecnicità” come mentalità. Si tratta della più grande sfida al principio della precedenza del ricevere sul fare. La mentalità esclusivamente tecnica, infatti, riduce tutto a puro fare. Per questo essa si sposa bene con la cultura nichilista e relativista.
Comprendiamo da queste osservazioni come la Caritas in veritate faccia una grande proposta culturale e di mentalità a servizio dell’autentico sviluppo. Le risorse da utilizzare per lo sviluppo non sono solo economiche, ma immateriali e culturali, di mentalità e di volontà. Si richiede una nuova prospettiva sull’uomo che solo il Dio che è Verità e Amore può dare.
Verità e amore sono gratuiti. Essi superano la semplice dimensione della fattibilità e ci aprono alla dimensione dell’indisponibile. Tutta l’enciclica afferma che senza questa prospettiva lo sviluppo umano diventa impossibile. Questo permette di affrontare in modo nuovo le problematiche dell’economia e della finanza legate alla globalizzazione dei mercati. Il prof. Zamagni ne parlerà tra poco. Per quanto mi riguarda, senza entrare nel merito delle problematiche economiche, vorrei sottolineare come la Caritas in veritate spieghi molto bene che l’elemento non prodotto ma ricevuto della fraternità, e quindi di una dimensione di dono e gratuità nelle relazioni umane, sia oggi di fondamentale importanza per la soluzione dei più spinosi problemi che abbiamo davanti. Dimensione di dono e gratuità che lo stesso mercato richiede per poter funzionare. Si tratta di una importantissima applicazione del principio secondo cui il ricevere precede il fare. Perché questo avvenga, però, bisogna che la reciprocità propria della fraternità entri pienamente dentro i meccanismi economici e sia motivo di ridistribuzione, di giustizia sociale e di solidarietà non successivamente o a latere degli stessi. Nella Caritas in veritate Benedetto XVI riprende le indicazioni della Centesimus annus sul rapporto a tre tra Stato, mercato e società civile, approfondendole e sviluppandole fino ad abbozzare i tratti di una economia civile del dono o della reciprocità.
Vorrei fare un’ultima osservazione. Il riferimento continuo alla Verità e all’Amore infonde alla Caritas in veritate una grande libertà di pensiero con cui l’enciclica toglie di mezzo tutte le ideologie che purtroppo gravano ancora sullo sviluppo. La gratuità della verità e dell’amore conducono verso il vero sviluppo anche perché eliminano riduzionismi e visioni interessate. Da questo punto di vista l’enciclica ha il grande merito di togliere di mezzo visioni obsolete, schemi di analisi superati, semplificazioni di problemi complessi. Un eccessivo riduzionismo Nord-Sud dei problemi dello sviluppo, dopo il crollo del riduzionismo Est-Ovest; una frequente sottovalutazione dei problemi culturali del sottosviluppo; un ecologismo spesso separato da una completa visione della persona umana; l’attenzione verso i problemi economici in senso stretto più che verso quelli istituzionali; una visione assistenzialista e non sussidiaria dello sviluppo sono alcune di queste residuali ideologie che l’enciclica decisamente supera. L’attenzione è ancora una volta indirizzata all’uomo concreto, oggetto di verità e di amore ed esso stesso capace di verità e di amore.
Gli altri interventi durante la conferenza stampa di presentazione dell’Enciclica:
- intervento dell’Em.mo Card. Renato Raffaele Martino;
- intervento dell’Em.mo Card. Paul Josef Cordes;
- intervento del Prof. Stefano Zamagni.